venerdì 26 maggio 2017

Miguel Ángel Hernández, El instante de peligro

Miguel Ángel Hernández, El instante de peligro, Barcelona, Editorial Anagrama, 2015. (Finalista Premio Herralde de Novela)

Una sombra inmóvil sobre un muro en mitad de un bosque. Eso es lo que muestran las extrañas películas anónimas que han llegado al correo del profesor Martín Torres. La remitente, la joven artista Anna Morelli, las ha encontrado por azar en un anticuario de New Jersey y pretende utilizarlas para su nuevo proyecto artistico en el Clark Art Insitute de Williamstown, institución de la que Martín fue becario hace más de diez años. Lo que Anna le propone no puede ser más atractivo: volver un semestre al Clark para escribir sobre las películas y dotar de historia a unas imágenes sobre las que nada se puede saber”1. (Risvolto di copertina)

I. Leer lo que nunca fue escrito
Articular históricamente el pasado no significa conocerlo ‘como verdaderamente ha sido’. Significa apoderarse de un recuerdo tal como éste relampaguea en un instante de peligro2”.
Walter Benjamin

II. El aire que tal vez respiramos
Una felicidad capaz de despertar envidia en nosotros sólo la hay en el aire que hemos respirado junto con otros humanos, a los que hemos podido dirigirnos3”.
Walter Benjamin

III. Un cúmulo de reuinas
El ángel quisiera detenerse, despertar a los muertos y recomponer lo destruydo. Pero un huracán sopla desde el paraíso y se arremolina en sus alas, y es tan fuerte que el ángel ya no puede plegarlas. Este huracán lo arrastra irresistiblemente hacia el futuro, al cual vuelve la espalda, mientras el cúmulo de ruinas crece ante él hasta el cielo4”.
Walter Benjamin

IV. “Jetztzeit”
La historia es objeto de una construcción cuyo lugar no es el tiempo homogéneo y vacío sino el que está lleno de ‘tiempo de ahora’ [jetztzeit]5”.
Walter Benjamin

V. La imagen verdadera
La imagen verdadera del pasado es una imagen que amenaza con desaparecer con todo presente que non se reconozca aludido en ella6”.
Walter Benjamin

Sono queste le cinque parti del romanzo. E le sue intestazioni. Romanzo difficile, ma affascinante. Come quasi tutto ciò che da qualche anno appare, scritto in spagnolo.
La narrativa di lingua spagnola, infatti, è in piena esplosione inventiva. Come del resto anche quella di lingua francese. Lo stesso non può dirsi di quella italiana, salvo singoli casi. Colpisce, in Italia, la povertà della fantasia narrativa, la sciattezza stilistica (è un eufemismo), la mediocrità dei parametri culturali: si oltrepassa di poco il pettegolezzo. l’immediatezza della cronaca, l’autocompiacimento infantile dell’anedottica personale. Solo per limitarci alle edizioni Anagrama, in Spagna sono usciti, oltre al romanzo di M. A. Hernández, di cui qui si discute, El amor del revés di Luisgé Martín, Farándula e Clavícula di Marta Sanz, Parris-Austerlitz (bellissimo!), La buena letra, Crematorio e En la orilla, di Rafael Chirbes, i due volumi di Los diarios de Emilio Renzi di Ricardo Piglia, Echeverría e Los Living di Martín Caparrós, Tierra de campos di David (pronunciare Davíd) Trueba (appena uscito, lo sto leggendo, straordinario!) e di altri editori (cito a caso): Soldados de Salamina di Javier Cercas, Cinco esquinas di Mario Vargas Llosa, La vida en las ventanas di Andrés Neuman. E ne tralascio o dimentico molti. Chirbes, spagnolo, e Piglia, argentino, due scrittori immensi, ci hanno lasciato, gli ultimi usciti sono dunque il loro testamento. Ma qui voglio occuparmi del secondo romanzo di Miguel Ángel Hernández. Il primo, Intento de escapada, tradotto anche in italiano con il titolo Tentativi di fuga (edizioni e/o) e già recensito sul mio blog, è già un romanzo nuovo, un ritratto del mondo di oggi, dei migranti, con la lente dell’arte e delle installazioni, politicamente scorretto, allarmante, eccessivo, e bellissimo. Anche il secondo, El instante de peligro, l’istante di pericolo, sembra nascere dalle riflessioni di Walter Benjamin sull’arte e sulla realtà d’oggi, o piuttosto sull’esperienza che abbiamo della realta, oggi, anche se dagli anni di Benjamin è passato più di mezzo secolo. Ma sono solo le suggestioni di un punto di partenza. In ogni caso indirizzano subito il lettore a registrare la storia, quella dei personaggi, ma anche l’ultimo secolo della storia dell’Occidente, e la sta arte, come il racconto complesso di una realtà particolare in cui misteriosamente, occultamente, si raddensano significati e pensieri ossessivi della realtà di oggi. L’assolutamente individuale, il segretamente personale, intimo, il lato quasi inconfessabile di sé stessi e della propria storia individuale, si uniscono e si confondono con il disorientamento del pensiero moderno – qualcuno lo chiama “debole” - con lo sgomento suscitato dall’inafferabilità del reale, sia questo “reale” un’esperienza individuale o un fenomeno artistico, un avvenimento storico, una fobia o una compulsione collettiva. I confini tra una cosa e l’altra non sono netti. Anna Morelli è un’artista triestina che confessa di non possedere un’identità, e di cercarla nelle opere, nelle azioni degli altri, di cui si appropria per cancellarle, sul serio, materialmente, dissolvere le figure delle fotografie con un acido, ma per poi introiettarle nella propria memoria, e così introiettate esporle poi così come sono state cancellate da lei, su un muro, sulle pareti di una galleria, segno e visione insieme di un’identità “rota”, rotta.. “Una destrucción de pruebas , un borrado de evidencias. Borrar para ver … Sólo podemos ver aquello que hemos perdido. El resto, lo que creemos tener, es invisible. Incomprensible7”. Pensa, appunto, di organizzare al Clatk una mostra, un’installazione di questo processo. Ma ha bisogno che qualcuno inventi una storia per quei film anonimi che ha trovato nel negozio di un antiquario del New Jersey, dove si vede sempre la stessa scena, un muro sul quale è proiettata un’ombra. Il mutare delle foglie degli alberi fa pensare, da film a film, al mutare delle stagioni. Lo chiede a Martín Torres, assistente di storia dell’arte nell’università di una città di provincia spagnola. Martín è disgustato del mondo accademico, gli è stata rifiutata la cattedra perché i suoi lavori non sono regolari, escono dagli schemi del mondo accademico. Accetta perciò l’offerta di Anna con entusiasmo, anche perché è felice di tornare nell’Istituto americano dove ha trascorso, dieci anni prima, un periodo piacevole e gratificante. I due s’incontrano, e si stabilisce anche una certa attrazione sessuale tra loro due. Questo fatto sarà un elemento scatenante dell’aspetto più oscuro della vicenda, quando Anna si lascia coinvolgere in un rapporto a tre con Martín e con un amico e collega di entrambi, Rick. Il lato oscuro non sarà quello tra i due uomini, da una parte e Anna,dall’altra, ma tra i due uomini tra di loro, sulla scoperta di una reciproca attrazione. Quasi a dimostrare l’evanescenza dei ruoli sessuali. Martín si lascia penetrare da Rick, e finalmente prova eccitazione, riesce a possedere Anna. Come se il rapporto con Anna non potesse essere diretto, chiaro. E come se il pieno e il vuoto si confondessero. Ma lo sono, chiari, del resto, gli altri rapporti, tra gli uomo e le donne, tra le donne, tra gli uomini? Anzi, che cosa c’è dinchiaro nel nostro rapporto con il mondo, e con l’arte che pretenderebbe rappresentarlo? E chi è Anna, quale il suo passato? Ma lasciamo la parola al narratore. E’ una pagina mirabile. Ricorda, alla lontana, una simile di Goethe, all’inizio dei Wanderjahre, anche lì l’inspiegabile attrazione tra due corpi maschili. Ma non credo che lo scrittore spagnolo ne abbia tenuto conto.
Fue desde allí donde miré a Anna y sentí su cuerpo. Desde allí sentí el vacío y percibí que en realidad yo también necesitaba perderme. Y mientras miraba a Anna, mientras la acariciaba viéndola desde fuera de mí, mientras me veía en esa escena y percibía el vacío, sentí la necesidad de que Rick me penetrara. No lo puedo explicar. Era como si mi identidad se hubiera confundido con la de Anna, como si al mirarla pudiera percibir lo que ella estaba sintiendo, como si la energía de Rick hubiese pasado a mi cuerpo a través del contacto con la piel de Anna.
No tuve que decir nada. Sólo una mirada y él pareció entenderme. Creo que Anna también.
Nunca me habían penetrado. Lo más parecido a eso seguía siendo la vez qu tu [Sophie] metiste un dedo en mi ano la segunda noche que nos acostamos. No fue desagradable, pero no llegué a sentir placer. Sin embargo, cuando Rick embadurnó ni esfínter con lubrificante y empezó a introducir su polla en mi culo sentí una satisfacción extraña, una emoción más allá de la carne, más allá del sexo. Sentí llenarme. Noté un cierto abandono, como si el cuerpo necesitara dejarse, soltarse. Y sólo desde ese abandono pude encontrarme y encontrar también la mirda de Anna, Me encontré en sus ojos perdidos y turbios. Me encontré en el vacío. Quizá era precisamente a eso a lo que Anna se refería. Un llenarse en el vacío, o un vaciarse en la plenitud. Lo sentí en su mirada. Y fue entonces, mientras transitaba por ese vacío lleno, por esa plenitud hueca, cuando comencé a sentir la erección. Mientras recibía las embestidas de Rick y miraba el rostro de Anna, mientras veía toda la escena con esa distancia cercana que he descrito hace uno párrafos, comencé a notar un gran vigor en mi sexo. Y fue en ese momento también cuando sentí la necesidad de penetrar a Anna, de hacerlo por primera vez8”.
Il romanzo procede passo passo nell’individuazione del senso dei film, di ciascun fotogramma. Il rapporto con Anna è fecondo dal punto di vista della collaborazione artistica, problematico sul personale. Martín non riesce ad avere un’erezione, a penetrarla, e il sesso è incompleto, anche se appagante. Sarà il rapporto a tre, come s’è visto, a rivelare ciò che manca. Ma è come se, non solo ad Anna, a ciascuno dei personaggi mancasse qualcosa. Finché un giorno si scopre dove si trova il muro e chi abbia filmato la scena. E’ un vedovo che ogni anno filma la scena del suo incontro felice con la moglie scomparsa. Lo racconta suo figlio. I film andranno dunque restituiti. Tutto il progetto crolla. Anna, però, ha cancellato una parte dei fotogrammi. Decidono comunque lo stesso di restituire i film al figlio del vedovo e di riorganizzare diversamente l’installazione. Sarà, questa volta, veramente l’installazione di un’assenza, di un’identità che non c’è. Come non c’è il rapporto tra Martín e Anna: l’amico non è un intruso che s’inserisce, ma il corpo “altro” che permette il contatto, e la penetrazione, di Anna, e di Martín. Ma quale sarà allora il senso dell’opera? “Cualquier solución podría valer al final. El arte es a veces pura contingencia9” afferma Martín. Ma lei gli risponde che “el arte surge cuando de entre todas las posibilidades se elige no la más correcta o la más lógica sino la única posible10”. E aggiunge: “El arte verdadero … solo existe cuando no puede ser de otra manera de la que es. No es ciencia, claro, es algo más11”. Il romanzo è scritto come una lunga confessione all’amante americana perduta, Sophie, moglie di un collega dell’Istituto americano. Martín sa di avere fatto del male a lei e ad Anna. Ma quando si rompe un amore? Era amore anche quello per Anna. Per la sua evanescenza, come il compito fosse di riempirla, ed è proprio ciò che non fu mai in grado di fare, penetrarla, riempirla. Tutto si rompe in un piccolo istante. “Supongo que hay que intuir ese punto de no retorno, ese instante de peligro en el que todo se puede perder para siempre12”. Sophie è morta Martín le scrive perché la sua ombra, come quella sul muro, “sería la única ausecia capaz de oìr los silencios entre tanta palabra, el único reflejo que podría decifrar los espacios vacíos diseminados entre tanto lenguaje13”. Ombre, assenze, arte, linguaggio, vita, morte, amore. Legami invisibili uniscono le cose. La scrittura, l’arte le fa visibili. Ma poi, a sua volta, anche la scrittura, l’arte, come la vita, sono indecifrabili. Perché la loro ragione non sta nell’obbligo di decifrarle, bensì in quello di essere, e l’essere, come affermava Parmenide, è. Non so se sono riuscito a rendere la complessità e la ricchezza di temi del romanzo senza banalizzarli, perché tutto è la scrittura di Miguel Ángel Hernández fuorché banale. Complessa, varia, quanto gli argomenti che tratta: ora colloquiale, parlata, ora intricata, riflessiva. I personaggi si stagliano come figure concrete, indimenticabili. Sembra una confessione di vita vissuta – ma con il distacco che insieme la condanna e la redime. Proprio perché, come l’installazione di Anna, non cerca una spiegazione, ma vuole riempire un’assenza, sia pure con una menzogna, una storia inventata. Ed è probabilmente una storia inventata anche la vita di ciascuno, come l’ombra con cui Anna cerca di riempire i vuoti della propria coscienza. E così facendo, senz’accorgersene, scopre anche i vuoti degli altri, di Martín, e nel tentativo di riempirli, glieli fa conoscere. Eccolo il nodo che in fondo lo scrittore stringe in tutta questa complicata architettura di finzioni, invenzioni, scoperte: che l’essenza stessa dell’arte, come della vita, è un atto della conoscenza. Non perché arte e vita possano rispecchiarsi. Ma perché per farla, l’arte, e per viverla, la vita, è indispensabile la conoscenza, prima di tutto di sé stessi, ma anche degli altri, e del frammento di tempo in cui il caso mi ha gettato. “No hay historia verdadera. La que hemos escuchado esta tarde es su historia, no la tuya. La única historia verdadera es la que te abrasa, la que nos habla, la que nos alude. Tienes que entrar dispuesto a verla. Abre los ojos. Aún más. Tienes que estar dispuesto a quemarte14”.

Fiano Romano, 26 maggio 2017

1 Un’ombra immobile proiettata su un muro nel mezzo di un bosco. E’ ciò che mostrano gli strani film anonimi che sono arrivati alla posta del Professor Martín Torres. La mittente, la giovane artista Anna Morelli, le ha trovate per caso in un antiquario del New Jersey e pretende utilizzarli per il suo nuovo progetto artistico nel Clark Art Institute di Williamstown, istituzione della quale Martín fu borsista più di dieci anni prima. Ciò che Anna gli propone non potrebbe essere più intrigante: tornare per un semestre al Clark per scrivere sui film e dotare di storia alcune immagini delle quali niente si può sapere.
2 I. Leggere ciò che mai fu scritto. “Articolare storicamente il passato bnon significa conoscerlo ‘come veramente è stato’. Significa impadronirsi di un ricordo così come questo lampeggia in un istante di pericolo”.
3 II. L’aria che talvolta respiriamo. “Una felicità capace di risvegliare invidia in noi c’è solo nell’aria che abbiamo respirato insieme ad altri umani, ai quali abbiamo potuto rivolgerci”.
4 III. Un cumulo di rovine “L’angelo vorrebbe trattenersi, risvegliare i morti e ricomporre ciò ch’è stato distrutto,. Ma un uragano soffia dal paradiso e turbina nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo già non può dispiegarle. Questo uragano lo trascina irresistibilmente verso il futuro, al quale volta le spalle, mentre intanto il cumulo di rovine cresce davanti a lui fino al cielo”.
5 IV. “Jeztzeit” “La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo omogeneo e vuoto bensì quello che è pideno del ‘tempo di adesso’ [jetztzeit]” La minuscola iniziale è dello scrittore. Il tedesco vorrebbe la maiuscola. Ma non è un errore, è un’assimilazione alla lingua narrante, che è lo spagnolo. Del resto, quanto all’uso tedesco, anche il poeta austriaco Stephan George aveva abolito la maiuscola iniziale per i sostantivi.
6 V. L’immagine vera “L’immagine vera del passato è un’immagine che minaccia di scomparire con ogni presente che non si riconosca alluso in essa”.
7 Una distruzione di prove, un cancellamento di evidenze. Cancellare per vedere. … Solo possiamo vedere quello che abbiamo perduto. Il resto, ciò che crediamo avere, è invisibile. Incomprensibile. In spagnolo cancellare si dice borrar, e bozza borrador, borrado è il risultato della cancellazione
8 Fu da quel punto che guardai Anna e sentii il suo corpo. Da quel punto sentii il vuoto e percepii che in realtà anche io avevo bisogno di perdermi. E mentre guardavo Anna, mentre la carezzavo vedendola da fuori di me, mentre mi vedevo in quella scena e percepivo il vuoto, sentii la necessità che Rick mi penetrasse. Non posso spiegarlo. Era come se la mia identità si fosse confusa con quella di Anna, come se guardandola potessi percepire ciò che lei stava sentendo, come se l’energia di Rick fosse passata nel mio corpo attraverso il contatto con la pelle di Anna. / Non dovetti dire niente. Solo uno sguardo e lui parve capirmi. Credo che anche Anna. / Mai mi avevano penetrato. Ciò che più vi somigliava continuava ad essere la volta che tu mettesti un dito nel mio ano, la seconda notte che finimmo a letto insieme. Non fu sgradevole, ma non rrivai a sentire piacere. Tuttavia, quando Rick imbrattò il mio sfintere con un lubrificante e cominciò a introdurre il suo cazzo nel mio culo sentii una soddisfazione strana, un’emozione più in là della carne, più in là del sesso. Mi sentii riempire. Notai un certo abbandono, come se il corpo avesse bisogno di lasciarsi, slegarsi. E solo in quell’abbandono potei incontrarmi e incontrare anche lo sguardo di Anna. Mi incontrai nei suoi occhi perduti e torbidi. Mi incontrai nel vuoto. Forse era precisamente a questo che Anna si riferiva. Un riempirsi nel vuoto, o uno svuotarsi nella pienezza. Lo sentii nel suo sguardo. E fu allora, mentre transitavo per quel vuoto pieno, per quella pienezza vuota, quando cominciai a sentire l’erezione. Mentre ricevevo gli assalti di Rick e guardavo la faccia di Anna, mentre vedevo tutta la scena con quella distanza ravvicinata che ho descrito qualce paragrafo fa, cominciai a notare un grande vigore nel mio sesso. E fu in quel momento anche quando sentii la necessità di penetrare Anna, di farlo per la prima volta.
9 Qualunque soluzione potrebbe avere valore alla fine. L’arte è a volte pura contingenza.
10 L’arte sorge quando quando tra tutte le possibilità si sceglie non la più corretta o la più logica quanto l’unica possibile.
11 L’arte vera … solo esiste quando non puñ essere d’altra maniera di quella che è. Non è scienza, chiaro, è qualcosa di più.
12 Suppongo che bisogna intuire quel punto di non ritorno, quell’istante di pericolo in cui tutto si può perdere per sempre.
13 Sarebbe l’unica assenza capace di udire i silenzi tra tanta parola. l’unico riflesso che potrebbe decifrare gli spazi vuoti determinati tra tanto linguaggio.
14 Non c’è vera storia. Quella che abbiamo ascoltato questo pomeriggio è la sua storia, non la tua. L’unica vera storia è quella che ti brucia, quella che ci parla, quella che ci allude. Devi entrare disposto a vederla. Apri gli occhi. Ancora di più. Deve essere disposto a bruciarti.

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