martedì 26 gennaio 2016

Five versions of darkness: Emanuele Arciuli alla Sapienza di Roma



ROMA. IUC. ISTITUZIONE UNIVERSITARIA DEI CONCERTI. AULA MAGNA DELLA SAPIENZA. FIVE VERSIONS OF DARKNESS. EMANUELE ARCIULI.

Five versions of darkness, cinque versioni dell’oscuro, ha intitolato Emanuele Arciuli il suo concerto di sabato 23 gennaio nell’Aula Magna dell’Università di Roma La Sapienza, per la IUC, Istituzione Universitaria dei Concerti. Serata formidabile, un viaggio negli Inferi del Romanticismo e dell’Oggi: gli inferi in realtà si celano nel sottofondo di qualsiasi epoca, anche nelle grotte di Lascaux. Ognuno di noi ha, comunque, un proprio lato oscuro, che in genere i più o rimuovono o reprimono. C’è perfino un bel film di Christopher Nolan in cui si fa emergere questo lato oscuro anche in un personaggio di fumetto come Batman: The Dark Knight, il cavaliere oscuro. In ogni caso è un lato con cui i “normali” non vogliono fare i conti. Ecco allora che, per esempio, nelle cronache di un giornale, un suicidio, un omicidio inspiegabili diventano “attimi di follia”. Ma che cos’è, poi, la follia se non proprio l’emergere di questo lato oscuro di noi stessi, il lato che c’imbarazza o, peggio, vorremmo annientare? Gli artisti, invece questo lato ce lo sbattono in faccia, ci dicono: ecco, vi riguarda, c’è anche in voi. Altrimenti perché ci sconvolgerebbe la Medea di Euripide, il Macbeth di Shakespeare? Dante sviene al racconto di Francesca non perché resti commosso dalla sua storia e ne provi pietà, bensì perché vi riconosce la propria storia interiore, quella che avrebbe potuto salvarlo e nell’Inferno scopre invece che è una storia dannata, che conduce alla condanna eterna. Francesca gli h parlato con il linguaggio dello Stil Novo, ed è una dannata. I poeti sanno, dunque, che la poesia nasce proprio lì. E lo sanno i musicisti. Robert Schumann, come pochi altri. E proprio l’ultima pagina pianistica di Schumann apre il concerto di Arciuli: Gesänge der Frühe, titolo quasi intraducibile, canti del mattino, o piuttosto della prima ora del mattino. Ma è un crepuscolo, quest’alba, che sembra preludere, invece che al giorno, alla notte più profonda. In realtà il manifestarsi della luce, più che aprire alla speranza, sembra spalancare la visione di un abisso. La luce illumina, appunto, l’abisso. Non c’è contraddizione: la luce può essere l’uscire da un incubo, oppure rivelare, per contrasto, in tutta la sua oscurità l’incubo stesso. La luce, se troppo abbagliante, acceca, toglie la vista di sé stessa. L’armonia si contorce, la melodia si attorciglia. Il canto si fa perenne, e inutile, ritornare su sé stesso, senza lasciare intravedere alcuno sbocco, alcuna fessura di scampo. In un uguale tempo sospeso, e verso una terribile rivelazione, ci conduce anche il brano di Salvatore Sciarrino, Perduto in una città d’acque (1991). Il musicista va a visitare Luigi Nono negli ultimi giorni che gli restano di vita. L’acqua di Venezia diventa così lo specchio in cui si affievoliscono i suoni, si riflette il disperdersi del tempo, lo sprofondare nell’ultimo silenzio. I suoni estremi dell’acuto e del grave, intonati insieme, spalancano in mezzo il vuoto di un silenzio irredimibile. Piccoli fruscii o frulli d’ali (del vento? dei gabbiani?) non ne incrinano l’immobilità. Il rumore, lo strepito, le grida dell’Inferno dantesco  –rieccolo! Francesca è una sorta di fantasma, di incubo, dell’emozione romantica - alludono allo stesso sbocco:  Liszt ne coglie perfettamente l’inquietudine e il dissolvimento.  Après une lecture de Dante, dopo una lettura di Dante, fantasia quasi sonata, come la definisce lo stesso Liszt, questo sprofondamento lo fa percepire anche armonicamente, come se i confini, i limiti degli accordi sfumassero nell’indistinto, affondassero nel nulla. Il ritmo giambico, che apre e innerva tutto il pezzo, sembra guidarci a quell’esito finale, lo stesso, ossessivo, e lancinante, pensiero del tardo, e bellissimo, poema sinfonico, Dalla culla alla tomba. Segue una pagina affascinante di George Crumb, Eine Kleine Mitternachtmusik, una piccola musica della mezzanotte (il titolo allude a una famosa serenata mozartiana,) del 2001, nove variazioni su Round Midnight di Telonius Monk.  Si sprofonda anche qui, ci si addentra perfino nelle viscere del pianoforte, pizzicate dalle dita del pianista. La notte, più che un incubo, sembra l’esaudimento di un desiderio, una finalmente raggiunta oasi di pace. Ma il cammino che vi conduce è tutto inquietudine e strazio. Non lascia sperare niente nemmeno il Bartók di Szabadban, all’aria aperta (1926). Il silenzio della notte, la solitudine della puszta, il rullio di una barcarola, le danze dei contadini, il furore della caccia, sono suoni diversi di uno stesso paesaggio inospitale e feroce. Due bis, in tema, chiudono la serata: il preludio in re bemolle maggiore (goccia d’acqua, ahinoi! è stato anche chiamato) di Chopin (op. 28) e un libero gioco, malinconico e introverso, di Bill Evans. Arciuli non solo ha immaginato e costruito un programma così accattivante e denso di allusioni. ma ci ha fatto seguire i pensieri e le fantasie dei compositori attraverso una mutevolissima arte del tocco, un’intelligenza dell’armonia che sfida l’ascoltatore e gli presenta la pagina limpida e chiara come carta stampata. Come sempre, le interpretazioni più accattivanti sono quelle che coniugano intelligenza e sensibilità, che anzi non distinguono tra l’una e l’altra. Successo, neanche a dirlo, infuocato e trionfale.
Dino Villatico
Roma, 25 gennaio 2016

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