sabato 28 novembre 2015

Roma, Teatro dell'Opera: The Bassarids di Hans Werner Henze. Inaugurazione della stagione.



ROMA. TEATRO DELL’OPERA. THE BASSARIDS di Hans Werner Henze. Libretto di W.H. Auden e Chester Kallman da Le Baccanti di Euripide

Direttore Stefan Soltesz
Regia Mario Martone
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Scene Sergio Tramonti
Costumi Ursula Patzak
Movimenti coreografici Raffaella Giordano
Luci Pasquale Mari

Interpreti principali

Dionysus Ladislav Elgr
Pentheus Russell Braun
Cadmus Mark S. Doss
Tiresias Erin Caves
Capitano della Guardia Reale Andrew Schroeder
Agave Veronica Simeoni
Autonoe Sara Hershkowitz
Beroe Sara Fulgoni
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera 

Nuovo allestimento      Prima rappresentazione a Roma
In lingua originale con sovratitoli in italiano e inglese

Rappresentazioni:
prima: 27 novembre 2015
repliche: 29 novembre, 1, 3, 5, 10 dicembre 2015


Euripide, come tutti i grandi drammaturghi, non dà risposte ai problemi che pone sulla scena agli spettatori.  Il grande specchio che riflette il palcoscenico, la voragine del Citerone (una gola, invece chela cima di una montagna - l’abisso dell’inconscio? – ma già nei cori si dice: “nelle gole del Citerone” ), ma vi si scorge anche parte della buca dell’orchestra e talora le prime file di platea, sembra che voglia dirci questo.  Martone vuole, insomma, che il pubblico si senta parte della vicenda, e non semplice spettatore. Era del resto questa la funzione principale del teatro antico, il teatro come rito insieme d’iniziazione e di purificazione.  Auden e Kallman trasformano la vicenda quasi in una regolazione di conti in famiglia. Il dio Dioniso è, di fatti, cugino del re Penteo. Semele , sua madre, e Agave, la madre del re, sono sorelle.  Incenerita una da Zeus, per avergli chiesto di mostrarsi nello splendore della sua divinità (sempre una divinità che uccide, come spesso in Euripide), resa folle l’altra, per vendetta, dal dio, che si sente “offeso”, al punto di incitarla a sbranare con le proprie mani il figlio, che gli nega il culto dovuto. In Euripide, Cadmo, fondatore di Tebe e nonno di Penteo, rimprovera il dio di essere andato oltre, in una parola di avere peccato di “hybris”, superbia, anche lui, come fa un uomo. La risposta di Dioniso è agghiacciante: ma Penteo e sua madre Agave mi avevano offeso, e io sono un dio. Queste battute sono espunte da Auden.  Eppure sono il succo della tragedia. L’orrore rientra, tuttavia, tutto intero, con la musica di Henze. Possiamo dare molti nomi a Dioniso, alla divinità (lo fa dire Euripide al coro finale), ma il problema (anzi, Amleto avrebbe detto “la domanda” - the question”-) è questo:  il male, la voglia di uccidere, di distruggere ed autodistruggersi, nell’uomo, da che cosa nasce? La voglia di una madre di annientarsi al punto di uccidere il figlio, dove affonda?. E non solo di uccidere il figlio, ma di sterminare la famiglia. Tutto Dioniso? La scena in cui Dioniso accompagna Penteo travestito da donna a guardare il baccanale è terrificante: il nodo del problema è proprio la nostra identità, Dioniso svuota Penteo della sua identità di re e di uomo, e pertanto anche di figlio, lo riconduce agli istinti primordiali, al desiderio inconscio di spiare la vita sessuale della madre. Adesso, vedetevela voi, dicono Euripide, Auden, e con una musica straordinaria, Henze. Dioniso è infatti il lato di noi che l’evoluzione sociale ha emarginato, escluso: l’animalità. Perciò Penteo vi si accanisce contro, ma facendolo si accanisce contro se stesso, contro la propria animalità. Avete mai visto un gatto inseguire, lacerare e divorare la sua preda? mangiarla cruda? questo è il rito di Dioniso: smembrare la preda e divorarla cruda. Auden scrive un verso bellissimo, quando vede la madre mordergli il collo e mangiarle un brano: “This flesh is me!” Henze scrive forse il suo dramma più sconvolgente. L’opera è costruita come una grande sinfonia in quattro movimenti. Ciò le dà una compattezza inscalfibile. Ma tale compattezza si fa drammaturgicamente parossismo di violenza. Il modello è, forse, l’Elektra, più che la Salome, di Strauss.  Ciò che vediamo sulla scena realizza in maniera impressionante questa violenza.  Martone muove assai bene le masse, aiutato anche dalle coreografie di Raffaella Giordano.  Lo smembramento di Penteo e delle altre vittime è insieme allucinato e terrificante. Di una rara compattezza anche il cast sulla scena. Spicca l’intensissima Agave di Veronica Simeoni, e con lei il Cadmo di Mark. S. Doss, il Tiresia di Erin Caves  e la Beroe di Sara Frugoni. Ladislav Elgr, Dioniso, perfettamente in ruolo, seminudo, bello, ambiguo, una voce suadente, corpo invitante come quello del dio, esile, sensuale e molle, entra nel ruolo terribile con straordinaria efficacia, bravissimo. Splendidamente reagiscono alla struggente, intensa e lucidissima concertazione di Stefan Soltesz sia l’Orchestra sia il Coro, sia il Corpo di Ballo e i figuranti del Teatro dell’Opera. Ricorda un quadro famoso di Ingres la glorificazione finale di Semele, che interamene nuda allunga le braccia verso il collo del figlio Dioniso. Duivenuta anch’essa una dea, i due, madre e figlio, salgono al cielo. Gli uomini “kneel and adore” , si prostrano e adorano, le effigi degli dei che scendono dal cielo. Il pubblico applaude, tutti, con calore. In sala non si era sentita volare una mosca. Il pubblico assiste esterrefatto e in silenzio. Riconosce ciò che accade oggi nel mondo, a Parigi, in medio Oriente. Tra il pubblico ci sono  il commissario straordinario di Roma Francesco PaoloTronca, Gianni Letta, il ministro Padoan. In platea, bellissima, sfolgorante, anche Raina Kabaivaska. Il teatro dell’Opera di Roma non poteva inaugurare meglio la stagione 2015-2016.
Dino Villatico
Roma, 28 novembre 2015

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