giovedì 8 ottobre 2015

Premio Nobel per la letteratura 2015 a Svetlana Aleksievič



Il paese degli steccati, delle barriere, dei muri, dei campi separati, dell’orticello di casa, delle corporazioni: guai a invadere la zona dell’altro o, per sbaglio, per disattenzione, pestargli i calli! In mezzo agli osanna opportunistici, alle ponderate riflessioni, e ai soliti vaniloqui dei soliti scribacchini, qualche voce esce rumorosamente dal coro a protestare che il Nobel per la letteratura è un premio letterario, che c’entra darlo a una giornalista. Si erano sentite voci simili anche per Dario Fo. Come se la letteratura fosse un orticello ben delimitato, e guai a varcarne i confini. Tutto questo per il Nobel concesso alla scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievich (ci dovremo abituare a questa traslitterazione anglofona, perché ormai sembra la norma, anche se la combinazione consonantica ch per la c di cielo non appartenga alla nostra lingua, la traslitterazione fonetica sarebbe Svjatlana Aljaksandraŭna Aleksievič, ma non esageriamo, basterebbe adottare il più semplice, e in parte fedele alla lingua della scrittrice, Svetlana Aleksievič). Si nota, però, con piacere, che le note discordi sembrano di meno che per Fo. Non ho letto niente della scrittrice e non entro dunque nel merito del premio. Mi riprometto di farlo. Ma noto in margine solo una cosa: nemmeno gli antichi erano sempre sicuri dei confini dei generi, eppure li avevano inventati. Talune tragedie di Euripide, per esempio l’Elena, l’Ifigenia tra i Tauri, l’Alcesti, sono tragedie o commedie o tragedie che accolgono elementi comici? E che cos’è il Satyricon di Petronio? e che poema è la Divina Commedia se lo stesso poeta la chiama commedia invece che tragedia, come avrebbe voluto la classificazione retorica del tempo, se invece che in volgare fosse stata scritta in latino? E i fumetti, sono letteratura? la graphic novel lo è? Solo un popolo che si è rifiutato a lungo, fino alle soglie della modernità, di accettare il paesaggio come genere alto della pittura, e intanto i Rubens, i Ruisdael, i Claude Lorrain avevano dipinto sublimi paesaggi, e, salvo Ruisdael, proprio della campagna romana, può porsi domande simili, scartabellare classificazioni superate, inalberarsi per l’invasione di territorio. Ma già: se qualche migliaio di profughi ci sembra un’invasione, figuriamoci questi scrittorucoli stranieri che ottengono un premio invano ambito dagli scrittorucoli nostrani. Che quale siano davvero scrittorucoli non lo deciderà certo un premio, ma l’intelligenza e la sensibilità dei lettori.
Fiano Romano, 8 ottobre 2015






                                                                                                                           

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